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giovedì 15 ottobre 2015

Esperimento terminato: osservazioni

Sono passati diversi mesi dall'inizio di un esperimento sociologico semiserio. Mentirei se dicessi che lo feci solo per curiosità "accademica", intrapresi il viaggio perché mi piace il gioco e perché la solitudine a volte mi fotte.
A maggio mi iscrissi su un sito di incontri, uno di quelli più sgrausi e plebei: non volevo essere selettiva e correre il rischio di trovarmi a cena con un hipster o peggio con radical chic, mi sono affidata alla legge dei grandi numeri. 
Certo, una scrematura sei costretta pur sempre a farla: quelli che scrivono con le k, quelli che fanno un errore ogni due parole (prendi almeno la terza media serale prima di utilizzare una tastiera), i poeti della domenica pomeriggio che mettono sul piatto il cielo le stelle il mare (ti piace vincere facile? Vallo a fare da un'altra parte), quelli che bella, principessa, bambola, tesoro, cara (chi ti conosce!), i mentitori seriali, gli impegnati che fingono di essere liberi, i cercatori di libido virtuale, i selfiesti intimi (come se il pene fosse un oggetto esteticamente apprezzabile!), i pettonudisti.
Dal rastrellamento chi è rimasto in piedi il tempo necessario per mostrare la propria mediocrità è elencato di seguito:


a) In principio fu A. il problematico. Lo conobbi il giorno in cui mi iscrissi e pensai stupita "niente male". Ventotto anni, carino. Mi chiese subito di vederci per un caffè e io accettai. Informatico con una passione per gli anime, qualche frase in giapponese, un po' alienato, ma al punto giusto: era la prima impressione. In effetti alienato lo era a livelli pro e lo dimostrò al secondo appuntamento, con un discorso che frantumò qualsiasi considerazione che avevo di lui. 
Dal nulla se ne uscì: Hai aspettatitive?
Aspettative di che? gli chiesi.
Sulla nosta relazione, rispose.
Ti pare che al secondo appuntamento possa avere aspettative di qualsiasi genere? Rimasi sotto choc per un bel po' dopo che diede anche la spiegazione alla domanda. La solita menata del ragazzo difficile, che non si sa relazionare, che non crea legami troppo duraturi, che rovina tutto ciò che tocca in termini di rapporto.  Di colpo risuonarono nelle mie orecchie le note di Paranoic Android e interrogai Dio sul perché capitano tutti a me. Mi faceva incazzare il fatto che credesse di dover mettere le mani avanti per non creare in me delle illusioni. Come se fossi con gli occhi a cuoricino per lui, quando in realtà ero unicamente curiosa di conoscere una persona più o meno interessante. Abbello, frena la mula. Di sottofondo i problemi con la mamma stronza che alimentavano un senso di competizione nei miei confronti, molto spesso frustrato dal fatto che ero più colta e più intelligente di lui. Vincevo senza essermi iscritta alla gara. Insomma, al terzo appuntamento si riprese: cena e dopocena a casa mia, vino e chiacchiere, qualche mossa per tentare di addolcirmi, ma era da parte mia più tenerezza che altro per sto povero scemo. Il quarto appuntamento fu l'apoteosi. Era passata più di una settimana dall'ultima volta e non ci sentivamo tanto spesso. Avevo praticamente il coltello in mezzo ai denti, pronta a squartarlo vivo alla prima mossa. E puntualmente lui: Ti devo dire una cosa... Esco con la mia vicina... Però, sai, potremmo ancora vederci.
Caro amico, gli dissi, se tu vuoi vivere in un cliché con la tua dirimpettaia impegnata, fai pure. Io me ne tiro volentieri fuori. Tu hai bisogno di questi brividi da quattro soldi per sentirti vivo, io ambisco a dei rapporti limpidi, di qualsiasi natura siano.
Quando mi congedai lo abbracciai perché mi dispiaceva per lui ed ebbe il coraggio di dirmi: Sei una bella persona.
Replicai schiettamente con un lo so che ancora gli fa eco nelle orecchie, secondo me.
Fuori il primo.


b) Il secondo fu M. l'astro nascente dello stalking. In chat era simpatico, avevamo molti interessi in comune. Decidemmo di vederci. Ancor prima di presentarci volevo defenestrarlo. L'appuntamento era in una piazza vicino al lavoro. Lui era già lì, ma arrivai e non lo trovai. Gli scrissi per sapere dove fosse e  mi rispose che inziava la caccia al tesoro, testuali parole. Secondo lui, avrei dovuto scovarlo, manco fossi un segugio. Gli dissi che me ne stavo andando e si materializzò. Fisicamente non mi attraeva, ma era abbastanza simpatico, a parte le uscite spocchiose e il voler prevaricarmi. Tuttavia, la cosa che mi mandò davvero in bestia fu il tentativo di frugare tra le mie cose virtuali, cioè diventare mio amico su Facebook, nonostante lo avessi scoraggiato a farlo. Senza sapere neanche il mio cognome mi trovò con un'astuzia da quattro soldi (cosa per la quale si autodefinì un fottuto genio) e non potendo scoprire molto mi chiese l'amicizia. Gliela negai e lo depennai forever.


c) L. il mercante di arte. Colto, poliglotta, viaggiatore. Lavorava senza slanci in una galleria d'arte e ambiva ad avere un proprio business. Il primo appuntamento in un ristorante thai: lui parlava io ascoltavo. Mi piacevano le cose che diceva e per certi versi era divertente. Aveva una gatta e amava curare le piante: punti a suo favore. Ci sentivamo spesso, ma non assiduamente. Gradivo avere a che fare con lui perché sentivo che aveva voglia di conoscermi, senza uno scopo preciso. Il secondo appuntamento in un posto che mi piace molto, contatto fisico semi-involontario, sorrisi, tanti bei discorsi. Tutto molto tranquillo e bello, fino alla sera in cui, dopo tanti rinvii, dovevamo vederci, ma poi non se ne fece più niente. Si scusò con un messaggio dicendo che era crollato a letto stanco. Quando l'indomani chiesi se andava tutto bene non rispose. E cancellai anche lui dai contatti. Senza rimpianti e con il pensiero che puoi essere erudito benestante e giramondo, ma se sei bieco lo sei e basta.


d) Nella categoria one shot abbiamo nell'ordine S. il coito (il suo) più veloce e triste del west, ma anche di tutti gli altri punti cardinali; I. il ferroviere metallaro: abbastanza capace a letto, peccato che in camera sua avesse un lampadario che produceva luci di vari colori a intervalli regolari e a me è venuto un attacco di riso/epilessia;V. la mia conquista più giovane: affamato, resistente e abbastanza generoso, di comune accordo abbiamo scelto di ignorarci.

e) G. la vittima. Non mi piaceva fisicamente, era mediamente simpatico, non avevamo nulla in comune. Eppure lo illusi e poi mi negai. Lui insistette, lo bloccai, mi mandò un messaggio in cui mi offriva di portarmi i bagagli al ritorno da un viaggio. Non risposi per preservare quell briciolo di dignità che gli era rimasta.

f) Nella categoria mio malgrado spiccano i due sardi. Ero lì per lavoro e non pensavo a conoscere gente, ma la geolocalizzazione mi fregò, così uscii con un paio di autoctoni. D., coetaneo, conoscitore di musica (l'unica persona conosciuta da me ad ascoltare Edda). Il primo e l'unico appuntamento fu sorprendentemente bello, più per la location che per il resto, tanto che si annovera come una delle più belle sere di estate. Dopo un giro in paese, mi portò a Punta Molentis. Era buio pesto, si riusciva a malapena a cogliere la natura selvaggia che ci circondava, alzai gli occhi e vidi un cielo talmente colmo di stelle che sembrava potesse cadere. Avrebbe potuto anche essere uno squartatore seriale, gli sarei stata grata comunque di avermi ostrato la bellezza della sua terra e una luna piena sul mare, il cui ricordo ancora mi riempe di gioia.
N. il bagnino. Questa volta mi ci sono buttata io tra le braccia dei cliché. Giovane, carino. Stop. L'avventura era incontrarlo di nascosto dopo il lavoro.

g) F. ribattezzato -con la complicità dell'amico M.- FDACTS, Fly down and check the sound, il motivo di tale acronimo è presto detto: assistente di volo con la propensione all'esagerazione. Leggermente spaccone. Una brava persona, per carità, ma ti faceva venire voglia di urlargli "scendi da quel cacchio di motorino truccato". Verrà ricordato anche per i dannati datteri che doveva portarmi dagli Emirati Arabi e che mi ricordava ogni due per tre lodandone la bontà (io non mangio datteri). Quando ci siamo visti non me li portò, in compenso mi riempì di gadget.
h) N. quarantenne, tatuatore e super-iper-tatuato. Un passato da cocainomane, una carriera da alcolizzato, sessuomane, feticista, sembrava uscito da un libro di Palanhiuk. Lo adoravo, mi faceva ridere tantissimo. A modo suo era dolce e premuroso. A volte partiva con i film su probabili progetti insieme e dovevo farlo scendere dal minipony, ma lui seguiva gli unicorni che aveva nella testa ed era bello così. Il gioco e la sperimentazione sessuale furono il cuore della relazione: con lui ho valicato confini che prima mi erano stati preclusi. Tra quelli elencati è la persona che ricorderò con più affetto.

Alla fine, l'esperimento mi ha divertita, pur avendo capito che questo tipo di approccio da macchinetta automatica non fa per me. L'atmosfera da carnaio o fiera agricola, dove ognuno mette in mostra quello che ha e allo stesso tempo è alla ricerca spasmodica di quello che manca mette allegria le prime volte (sempre che la si riesca a vivere con distacco), poi nausea.

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