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domenica 24 aprile 2016

Fin

Credo sia giunto il momento di abbandonare questo luogo. Ha troppo passato per accogliere in maniera fresca il presente. Scriverò su un altro blog: nuovissime pagine bianche non segnate da ciò che ho scritto in precedenza.
Miei cari e rari lettori abituali, se volete ancora leggermi, e lo spero proprio, fatemi un cenno e vi farò sapere in qualche modo dove trovarmi.

Chiudo come avevo aperto perché ci saranno sempre pensieri che  non riesco a trattenere.

mercoledì 3 febbraio 2016

Enjoy your stay

Un anno e mezzo a dirlo sembra poco tempo, quando lo vivi ti sembra una vita. Ed è vita quella che costruisci otto ore al giorno. Diventano una specie di famiglia le persone che incontri quotidianamente: il vicino di scrivania e il suo compare; quello che ti da il nomignolo e lo usa anche di fronte ai clienti; quella con cui vai a mensa e puntualmente "siamo scese a e cinque", per ritardare di qualche attimo ancora la pausa; quelle con cui scambi battute velenose su certi altri colleghi. Tutto questo è svanito più o meno improvvisamente: l'albergo in cui lavoravo, uno di quelli che nel bene o nel male hanno fatto la storia degli ultimi 40 anni di Milano, ha chiuso e, ho una sensazione molto simile al lutto. Non è tanto per l'occupazione, per il momento lavoro in un'altra struttura, ma è per le cose, immateriali, che ho lasciato lì: soprattutto la sensazione di essere stimata, per la prima volta qualcuno ha creduto veramente in me, tutti mi hanno accettata e mi hanno tenuta in buona considerazione sempre. Passare da essere l'ultima delle stagiste a gestire in autonomia un reparto intero di un grande hotel da sola in così poco tempo non è da tutti. 

Quando stasera mi ha chiamato il mio collega dopo che aveva  mandato una foto buffa di un altro collega, siamo scoppiati a ridere ancora prima di dire pronto, come facevamo quando eravamo cuore a cuore, e mi raccontava gli annedoti sui clienti e cose così. Interrotta la telefonata, senza nemmeno smettere di ridere mi sono messa a piangere. Magari dopo questa esperienza mi capiranno cose bellissime, ora è il momento delle lacrime.

domenica 24 gennaio 2016

Sono tendenzialmente etero, il matrimonio non è tra le mie opzioni, non credo di essere adatta ad un legame così serio. Tuttavia, nulla mi vieta di cambiare idea e scegliere di sposarmi. Ecco, la libertà di scegliere della propria vita è il motore che ha portato me (nonostante l'influenza e il tono di un cadavere) e altre persone come me a scendere in piazza ieri. Fino a quando il mio diritto non è esteso a tutti, non mi sentirò al sicuro, certamente non potrò dire di vivere in un Paese giusto. A chi dice che in Italia ci sono cose più importanti da sistemare, replico, se i diritti civili non sono importanti per voi, potete trasferirvi tranquillamente in Corea del Nord.


lunedì 11 gennaio 2016

It's the freakest show

Il nostro dovere di amanti della Musica è ricordare chi se n'è andato mettendo a volume da denuncia le sue canzoni e cantarle fino a svenire.
Come ha detto M., la line up del Paradiso Festival piscia in testa a qualsiasi festival del mondo.

lunedì 4 gennaio 2016

L'anno scorso, scrivere gli obiettivi da raggiungere ha portato fortuna. Ne ho raggiunti tre su sette: il primo e più importante, il lavoro; il secondo, i viaggi; l'ultimo della lista, ma non meno importante nel mio cuore, l'ukulele.
Tra quelli che non sono riuscita a soddisfare c'è la meditazione, che ho abbandonato, ma conto di riuscire a conciliare la mia vita a tratti squilibrata con la ricerca della pace interiore. C'è tutto un anno per tentare.
Ho potuto depennare definitivamente il proposito di liberarmi dall'ossessione per una persona, il che mi rende disponibile a nuove, e spero più redditizie in termini di benefici interiori, manie.

martedì 22 dicembre 2015

Eu nao falo portugues: Lisboa edition

Dal mio breve vaggio in Portogallo ho capito che i lisbonesi se ne fottono allegramente. Ho visto gente uscire a fare delle commissioni in pigiama, portare a spasso il cane in pantaloncini e infradito, ho visto il tram fermarsi perché ostacolato da un camioncino che stava scaricando della merce davanti a un negozio e il conducente - pacifico -non fare una piega, non invitare l'autista del camioncino a muoversi neanche con modi gentili. Ha aspettato che l'altro terminasse il suo lavoro per poi ripartire con la stessa tranquillità (si fa per dire, il tram 28 è stato un attentato alle mie coronarie) di prima. Mi sono immaginata la stessa scena a Milano, il povero autista del camioncino sarebbe stato oggetto di imprecazioni non solo da parte del lavoratore atm, ma di tutti i passeggeri, perché non abbiamo tempo da perdere. A Lisbona si chiedono cos'è il tempo, ma poi lasciano cadere la domanda per cose più importanti come godersi la decadenza malinconica della loro città. 
Più del succitato tram 28, grazie al quale ho capito intrinsecamente il significato di sferragliare, e delle funicolari che ti offrono viste pazzesche a sorpresa, più degli azulejos e del fado, delle stradine tortuose e del dolce lasciarsi andare di alcuni palazzi (non restaurateci, lasciateci sgretolare e tornare polvere), più dei calçada mortalmente pericolosi ma anche meravigliosamente intrippanti, più di tutto ciò di Lisbona rimarrà impressa in un punto preciso dello sterno come incisa con un chiodo appuntito la sensazione di apertura di ariosità, di luce avvolgente, come se tutto ciò che guardi fosse sconfinato, non finisse mai. Tutti quei colori e il cielo, oh Signore, che cielo - a tratti ricamato dai cavi. I vecchietti superbelli e teneri davano l'impressione di non passarsela proprio bene. Avrei voluto conoscere il portoghese per farci due chiacchiere, farmi raccontare della loro città e magari ci saremmo lamentati di quei turisti sempre troppo invadenti, o solo prenderli a braccetto e farmi condurre nei loro posti del cuore.

giovedì 26 novembre 2015

Ukulele

Era da tempo che ne volevo uno, poi una mattina di novembre ne ho sentito proprio l'urgenza - per la tristezza di questo mese triste -e l'ho acquistato su internet.
Da quando ce l'ho, non penso ad altro, a strimpellare il mio amore la sera nel mio angolino, a cantarmi la ninna nanna. Con le sue note, il buio diventa luce e non sento più freddo.

sabato 14 novembre 2015

Maddalena

Maddalena era una ragazza minuta, addirittura più di me, i capelli separati dalla riga in mezzoche scendevano dritti a coprirle parte del viso. Era abbastanza timida, abbastanza impacciata, se la cavava in inglese, nelle altre materie un po' meno. Aveva però delle passioni che accendevano i suoi dolci occhi nocciola: la musica e il disegno. Suonava la chitarra, ne aveva addirittura una elettrica, e passava le giornate a disegnare, a volte a riprodurre le copertine degli album dei suoi miti: i Pink Floyd. Era sempre alla ricerca di conferme, il terreno sul quale si muoveva sembrava minato da insicurezze. Era la più piccola della classe, avendo cominciato la scuola un anno prima (forse la più piccola era Stefania che però essendo una stronza bigotta, non la consideravamo), la più fragile, trattata come un cucciolo delicato, di tanto in tanto usata. Un po' la invidiavo per i suoi talenti e perché era l'amica di banco della mia preferita. Non si poteva volerle male, gentile e buona, ingenua, decisamente lontana dalle strategie che spesso operano in un mondo chiuso come quello delle classi scolastiche.
Con Maddalena non avevo più niente a che fare dal diploma, non eravamo mai state intime e le nostre strade naturalmente si sono divise. Avevo sue notizie per vie indirette e sapevo che aveva messo a frutto la sua capacità artistica avviando un'attività di merchandising.
L'ultima notizia l'ho avuta due giorni fa: era in fin di vita perché ingerito volontariamente dell'acido muriatico, senza più il fegato e parte dello stomaco.
Maddalena ieri è morta, ponendo fine alle sue sofferenze fisiche e dell'anima. Come può una persona volersi e farsi così tanto male da scegliere una morte così atroce? 
Non pensavo avrei cominciato tanto presto a fare la conta dei vivi su una foto  di classe.

giovedì 15 ottobre 2015

Esperimento terminato: osservazioni

Sono passati diversi mesi dall'inizio di un esperimento sociologico semiserio. Mentirei se dicessi che lo feci solo per curiosità "accademica", intrapresi il viaggio perché mi piace il gioco e perché la solitudine a volte mi fotte.
A maggio mi iscrissi su un sito di incontri, uno di quelli più sgrausi e plebei: non volevo essere selettiva e correre il rischio di trovarmi a cena con un hipster o peggio con radical chic, mi sono affidata alla legge dei grandi numeri. 
Certo, una scrematura sei costretta pur sempre a farla: quelli che scrivono con le k, quelli che fanno un errore ogni due parole (prendi almeno la terza media serale prima di utilizzare una tastiera), i poeti della domenica pomeriggio che mettono sul piatto il cielo le stelle il mare (ti piace vincere facile? Vallo a fare da un'altra parte), quelli che bella, principessa, bambola, tesoro, cara (chi ti conosce!), i mentitori seriali, gli impegnati che fingono di essere liberi, i cercatori di libido virtuale, i selfiesti intimi (come se il pene fosse un oggetto esteticamente apprezzabile!), i pettonudisti.
Dal rastrellamento chi è rimasto in piedi il tempo necessario per mostrare la propria mediocrità è elencato di seguito:


a) In principio fu A. il problematico. Lo conobbi il giorno in cui mi iscrissi e pensai stupita "niente male". Ventotto anni, carino. Mi chiese subito di vederci per un caffè e io accettai. Informatico con una passione per gli anime, qualche frase in giapponese, un po' alienato, ma al punto giusto: era la prima impressione. In effetti alienato lo era a livelli pro e lo dimostrò al secondo appuntamento, con un discorso che frantumò qualsiasi considerazione che avevo di lui. 
Dal nulla se ne uscì: Hai aspettatitive?
Aspettative di che? gli chiesi.
Sulla nosta relazione, rispose.
Ti pare che al secondo appuntamento possa avere aspettative di qualsiasi genere? Rimasi sotto choc per un bel po' dopo che diede anche la spiegazione alla domanda. La solita menata del ragazzo difficile, che non si sa relazionare, che non crea legami troppo duraturi, che rovina tutto ciò che tocca in termini di rapporto.  Di colpo risuonarono nelle mie orecchie le note di Paranoic Android e interrogai Dio sul perché capitano tutti a me. Mi faceva incazzare il fatto che credesse di dover mettere le mani avanti per non creare in me delle illusioni. Come se fossi con gli occhi a cuoricino per lui, quando in realtà ero unicamente curiosa di conoscere una persona più o meno interessante. Abbello, frena la mula. Di sottofondo i problemi con la mamma stronza che alimentavano un senso di competizione nei miei confronti, molto spesso frustrato dal fatto che ero più colta e più intelligente di lui. Vincevo senza essermi iscritta alla gara. Insomma, al terzo appuntamento si riprese: cena e dopocena a casa mia, vino e chiacchiere, qualche mossa per tentare di addolcirmi, ma era da parte mia più tenerezza che altro per sto povero scemo. Il quarto appuntamento fu l'apoteosi. Era passata più di una settimana dall'ultima volta e non ci sentivamo tanto spesso. Avevo praticamente il coltello in mezzo ai denti, pronta a squartarlo vivo alla prima mossa. E puntualmente lui: Ti devo dire una cosa... Esco con la mia vicina... Però, sai, potremmo ancora vederci.
Caro amico, gli dissi, se tu vuoi vivere in un cliché con la tua dirimpettaia impegnata, fai pure. Io me ne tiro volentieri fuori. Tu hai bisogno di questi brividi da quattro soldi per sentirti vivo, io ambisco a dei rapporti limpidi, di qualsiasi natura siano.
Quando mi congedai lo abbracciai perché mi dispiaceva per lui ed ebbe il coraggio di dirmi: Sei una bella persona.
Replicai schiettamente con un lo so che ancora gli fa eco nelle orecchie, secondo me.
Fuori il primo.


b) Il secondo fu M. l'astro nascente dello stalking. In chat era simpatico, avevamo molti interessi in comune. Decidemmo di vederci. Ancor prima di presentarci volevo defenestrarlo. L'appuntamento era in una piazza vicino al lavoro. Lui era già lì, ma arrivai e non lo trovai. Gli scrissi per sapere dove fosse e  mi rispose che inziava la caccia al tesoro, testuali parole. Secondo lui, avrei dovuto scovarlo, manco fossi un segugio. Gli dissi che me ne stavo andando e si materializzò. Fisicamente non mi attraeva, ma era abbastanza simpatico, a parte le uscite spocchiose e il voler prevaricarmi. Tuttavia, la cosa che mi mandò davvero in bestia fu il tentativo di frugare tra le mie cose virtuali, cioè diventare mio amico su Facebook, nonostante lo avessi scoraggiato a farlo. Senza sapere neanche il mio cognome mi trovò con un'astuzia da quattro soldi (cosa per la quale si autodefinì un fottuto genio) e non potendo scoprire molto mi chiese l'amicizia. Gliela negai e lo depennai forever.


c) L. il mercante di arte. Colto, poliglotta, viaggiatore. Lavorava senza slanci in una galleria d'arte e ambiva ad avere un proprio business. Il primo appuntamento in un ristorante thai: lui parlava io ascoltavo. Mi piacevano le cose che diceva e per certi versi era divertente. Aveva una gatta e amava curare le piante: punti a suo favore. Ci sentivamo spesso, ma non assiduamente. Gradivo avere a che fare con lui perché sentivo che aveva voglia di conoscermi, senza uno scopo preciso. Il secondo appuntamento in un posto che mi piace molto, contatto fisico semi-involontario, sorrisi, tanti bei discorsi. Tutto molto tranquillo e bello, fino alla sera in cui, dopo tanti rinvii, dovevamo vederci, ma poi non se ne fece più niente. Si scusò con un messaggio dicendo che era crollato a letto stanco. Quando l'indomani chiesi se andava tutto bene non rispose. E cancellai anche lui dai contatti. Senza rimpianti e con il pensiero che puoi essere erudito benestante e giramondo, ma se sei bieco lo sei e basta.


d) Nella categoria one shot abbiamo nell'ordine S. il coito (il suo) più veloce e triste del west, ma anche di tutti gli altri punti cardinali; I. il ferroviere metallaro: abbastanza capace a letto, peccato che in camera sua avesse un lampadario che produceva luci di vari colori a intervalli regolari e a me è venuto un attacco di riso/epilessia;V. la mia conquista più giovane: affamato, resistente e abbastanza generoso, di comune accordo abbiamo scelto di ignorarci.

e) G. la vittima. Non mi piaceva fisicamente, era mediamente simpatico, non avevamo nulla in comune. Eppure lo illusi e poi mi negai. Lui insistette, lo bloccai, mi mandò un messaggio in cui mi offriva di portarmi i bagagli al ritorno da un viaggio. Non risposi per preservare quell briciolo di dignità che gli era rimasta.

f) Nella categoria mio malgrado spiccano i due sardi. Ero lì per lavoro e non pensavo a conoscere gente, ma la geolocalizzazione mi fregò, così uscii con un paio di autoctoni. D., coetaneo, conoscitore di musica (l'unica persona conosciuta da me ad ascoltare Edda). Il primo e l'unico appuntamento fu sorprendentemente bello, più per la location che per il resto, tanto che si annovera come una delle più belle sere di estate. Dopo un giro in paese, mi portò a Punta Molentis. Era buio pesto, si riusciva a malapena a cogliere la natura selvaggia che ci circondava, alzai gli occhi e vidi un cielo talmente colmo di stelle che sembrava potesse cadere. Avrebbe potuto anche essere uno squartatore seriale, gli sarei stata grata comunque di avermi ostrato la bellezza della sua terra e una luna piena sul mare, il cui ricordo ancora mi riempe di gioia.
N. il bagnino. Questa volta mi ci sono buttata io tra le braccia dei cliché. Giovane, carino. Stop. L'avventura era incontrarlo di nascosto dopo il lavoro.

g) F. ribattezzato -con la complicità dell'amico M.- FDACTS, Fly down and check the sound, il motivo di tale acronimo è presto detto: assistente di volo con la propensione all'esagerazione. Leggermente spaccone. Una brava persona, per carità, ma ti faceva venire voglia di urlargli "scendi da quel cacchio di motorino truccato". Verrà ricordato anche per i dannati datteri che doveva portarmi dagli Emirati Arabi e che mi ricordava ogni due per tre lodandone la bontà (io non mangio datteri). Quando ci siamo visti non me li portò, in compenso mi riempì di gadget.
h) N. quarantenne, tatuatore e super-iper-tatuato. Un passato da cocainomane, una carriera da alcolizzato, sessuomane, feticista, sembrava uscito da un libro di Palanhiuk. Lo adoravo, mi faceva ridere tantissimo. A modo suo era dolce e premuroso. A volte partiva con i film su probabili progetti insieme e dovevo farlo scendere dal minipony, ma lui seguiva gli unicorni che aveva nella testa ed era bello così. Il gioco e la sperimentazione sessuale furono il cuore della relazione: con lui ho valicato confini che prima mi erano stati preclusi. Tra quelli elencati è la persona che ricorderò con più affetto.

Alla fine, l'esperimento mi ha divertita, pur avendo capito che questo tipo di approccio da macchinetta automatica non fa per me. L'atmosfera da carnaio o fiera agricola, dove ognuno mette in mostra quello che ha e allo stesso tempo è alla ricerca spasmodica di quello che manca mette allegria le prime volte (sempre che la si riesca a vivere con distacco), poi nausea.

mercoledì 23 settembre 2015

Il mio ragazzo

Il mio ragazzo ha due occhi color del cielo nel tardo pomeriggio, quando ancora c'è luce ma è prossima la sera. Appena mi vede mi abbraccia e di tenerezza non è mai sazio. Quando siamo insieme è sempre vicino a me. Col mio ragazzo giochiamo e ci divertiamo pazzamente. I miei regali sono i suoi oggetti preferiti e quando mi nomina (dicono) si illumina nel suo bel sorriso candido. Stravede per me ed io per lui.
Il mio ragazzo è un ometto di quattro anni e io sono sua zia.
La ziitudine è una gran bella cosa. Se non avete nipoti, dite ai vostri fratelli e sorelle di farveli.