Un anno e mezzo a dirlo sembra poco tempo, quando lo vivi ti sembra una vita. Ed è vita quella che costruisci otto ore al giorno. Diventano una specie di famiglia le persone che incontri quotidianamente: il vicino di scrivania e il suo compare; quello che ti da il nomignolo e lo usa anche di fronte ai clienti; quella con cui vai a mensa e puntualmente "siamo scese a e cinque", per ritardare di qualche attimo ancora la pausa; quelle con cui scambi battute velenose su certi altri colleghi. Tutto questo è svanito più o meno improvvisamente: l'albergo in cui lavoravo, uno di quelli che nel bene o nel male hanno fatto la storia degli ultimi 40 anni di Milano, ha chiuso e, ho una sensazione molto simile al lutto. Non è tanto per l'occupazione, per il momento lavoro in un'altra struttura, ma è per le cose, immateriali, che ho lasciato lì: soprattutto la sensazione di essere stimata, per la prima volta qualcuno ha creduto veramente in me, tutti mi hanno accettata e mi hanno tenuta in buona considerazione sempre. Passare da essere l'ultima delle stagiste a gestire in autonomia un reparto intero di un grande hotel da sola in così poco tempo non è da tutti.
Quando stasera mi ha chiamato il mio collega dopo che aveva mandato una foto buffa di un altro collega, siamo scoppiati a ridere ancora prima di dire pronto, come facevamo quando eravamo cuore a cuore, e mi raccontava gli annedoti sui clienti e cose così. Interrotta la telefonata, senza nemmeno smettere di ridere mi sono messa a piangere. Magari dopo questa esperienza mi capiranno cose bellissime, ora è il momento delle lacrime.
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