Mi manchi, mi sei mancata, ci sei mancata, sono frasi rivoltemi ultimamente, che mi sorprendono ogni volta. Non perché non mi fidi, ma perché quando non provi certi sentimenti fai fatica a credere che esistano sul serio. L'unica mancanza che provo è quella che non dirò tanto è lampante, quella che mi farà sentire sempre con un pezzo in meno, qualunque sia la mia strada. Le lontananze, se si è un minimo equilibrati e sentimentalmente autarchici - per farla semplice, se non si dipende dagli altri per il proprio benessere psichico, non scalfiscono. Quando capita di avere vicino persone che mi vogliono bene, con le quali stringo legami di vario genere, non mi sento completa, mi sento strabordante di ricchezza. Molto spesso la mancanza è l'altra faccia del possesso, ed io miro a possedere sempre meno oggetti e nessun essere umano. Ambisco a sentire sempre più forte l'unità con gli altri esseri umani, arrivare ad amare anche i miei nemici (in realtà, dovrei prima farmene), a percepire che non siamo isole, che siamo membra di un unico corpo, ma come del tuo corpo ami (o dovresti) anche gli organi che non vedi perché sono parte di te, così puoi amare qualcuno senza sentirne la mancanza. Il più bel regalo che puoi fare a un'altra persona è liberarla dalla tua dipendenza.
Un altro paio di maniche è se la mancanza di me si manifesta a lavoro. Lì non faccio filosofia, e di solito rispondo "menomale". Voglio mancar loro, in modo che quando arriverà il tempo di decidere se tenermi o mandarmi via, sappiano cosa si prova a non avermi. Faccio anche terrorismo psicologico, dicendo alla mia supervisor: "Abituati a sbrigartela da sola, ché fra un po' me ne vado". E subito lei: "No, speriamo di no". Io, di rimando: "Allora sponsorizzami con chi sai tu, di' che se me ne vado tu molli!".